Il caso di Annalisa

di Carla Urbinati

CHI HA PAURA DELL’UOMO NERO?

Annalisa è una bambina di 7 anni, frequenta la seconda elementare e, come lei stessa afferma, “non riesce a non litigare con i compagni di scuola”. Litiga anche con le insegnanti, ma soprattutto con i genitori ed il fratello. Il litigio sembra essere la modalità di rapporto più familiare. Infatti, parlando del padre e della madre dice: “quando si sono conosciuti hanno fatto l’amore per due mesi, poi hanno iniziato a litigare ed hanno litigato in fila1 per due anni … poi hanno rifatto l’amore per una settimana, poi hanno ricominciato a litigare e … ancora non hanno smesso”.

I genitori raccontano di litigare spesso tra loro e si dicono estenuati dalle “lotte quotidiane” con Annalisa. Il risveglio, i pasti, i compiti, tutto diventa motivo di scontro. Da un po’ la bambina ha iniziato a svegliarsi durante la notte e loro le permettono di dormire nel lettone perché “quando le vengono i pensieri non riesce più a stare nel suo letto”.

Durante un colloquio, invitata a raccontarmi cosa la preoccupi, la bambina risponde: “la sera penso a quell’uomo nero, con il cappuccio e il coltello in mano … e a quello che sta in ginocchio con le mani legate”. Intuito il riferimento alle immagini diffuse dall’ISIS, chiedo se si tratti di persone viste in televisione e lei conferma. “ L’uomo nero prende il papà, la mamma e mio fratello, li lega e li fa stare in ginocchio”. Osservo: “Ma tu non ci sei?”. Compiaciuta, quasi inorgoglita, annuisce. Chiedo: “E allora tu che fai?”.

La mia domanda introduce l’ipotesi che nella scena, descritta come angosciante, lei potrebbe fare qualcosa, intervenire, operare in vista di uno sviluppo della situazione. La possibilità l’incuriosisce visibilmente. Raccolta la mia domanda-offerta comincia ad inventare2: “… io potrei … nascondermi e poi piano, piano slegare mia madre … poi piano, piano slegare mio padre e mio fratello … poi … poi potremmo scappare via!” . Domando allora: “E l’uomo con il cappuccio? Non si accorge che li stai liberando?”. Annalisa risponde ridendo e con fare sicuro: “No, non si accorge perché lui guarda la telecamera e intanto fa così, così”. Mentre pronuncia la frase muove ritmicamente verso l’alto ed il basso le braccia, dopo averle allargate, sollevate ed incurvate leggermente, tenendo le palme delle mani rivolte verso il basso. Benché difficile da tradurre a parole, la rappresentazione del guerriero dell’ISIS proposta, visivamente è risultata identica a quella di un rapper.

La competenza osservativa, permette ad Annalisa di non fermarsi alle informazioni che possiede, circa la pericolosità dell’uomo nero e le consente di cogliere che qualcosa nel modo di muoversi ed atteggiarsi dell’incappucciato sarebbe riconducibile ad una recita. Traducendo in parole i pensieri che la bambina ha già formulato in proprio, potremmo dire: il protagonista del video si muove come un rapper, fissa la telecamera, interessato a chi vedrà il video ben più che alle

1 Ininterrottamente.

2 L’inventare, così come il giocare sono sempre atti seri per i bambini, buone occasioni per elaborare soluzioni.

2

persone inginocchiate ai suoi piedi. Possiamo inoltre ipotizzare che Annalisa sia giunta a queste conclusioni osservando le note immagini televisive e domandandosi: “ma quello che sta facendo?”. Rispondendosi senza sottostare a pregiudizi deve aver concluso: “l’uomo nero è come un rapper che sta facendo il suo video”3.

Tutti i giorni Annalisa vede i genitori litigare; lei stessa dibatte spesso con loro, viene rimproverata per i compiti che svolge troppo lentamente o per le note delle insegnanti che continuano a segnalare gli scontri della bambina con i compagni. Questi rimproveri, nell’ultimo anno, l’hanno sempre più preoccupata cosicché, soprattutto la sera, prova angoscia, si sente in colpa e teme di perdere i genitori. Percependosi in pericolo, pensa e cerca soluzioni.

Impaurita dal signore con il cappuccio, a parole più che nei fatti, sa tuttavia rilevare ciò che fa paura agli altri e tenendone conto imbastisce la propria strategia difensiva. Approfittando del materiale a sua disposizione, circoscrive una paura credibile per i suoi interlocutori, per guadagnare un posto nel letto dei genitori e sedare così l’angoscia che le suscita il conflitto tra il desiderio di fare tutto a modo suo – scelta a cui conseguono gli scontri – ed il desiderio di avere accanto i genitori, che in realtà teme di perdere a causa delle sue condotte.

Incontrando in casa e a scuola il regime dell’appuntamento in stato di crisi, dubita della possibile riuscita dei rapporti, quale esito di un pacifico lavoro di con-posizione. Difensivamente, compromissoriamente, Annalisa cerca legami di attaccamento fisico per ricucire il buco prodotto nel suo pensiero dalla compromissione del regime dell’appuntamento. In questo lavoro di sostituzione dell’appuntamento con l’attaccamento, la paura rappresenta solo il fumo negli occhi che rende invisibile, proteggendola, la delicata operazione di messa in salvo di una qualche forma di rapporto Soggetto-Altro. Rintracciamo qui all’opera la competenza giuridica, politica ed economica del pensiero – sin dal bambino – seppur nella sua crisi, causata dalla minaccia della perdita dell’amore. Questa competenza, benché depotenziata e compromessa, permette ad Annalisa di difendersi dalla psicopatologia dei suoi altri.

Annalisa raccoglie prontamente e con gusto l’invito ad ipotizzare un qualche divenire per la scena dell’uomo nero. Questo ci dice che non è ancora fissata a teorie patologiche e che il suo conflitto con i genitori – che fantastica in modo sanzionatorio, prigionieri dell’uomo nero, sentendosi poi però angosciata – è ancora suscettibile di ridefinizioni giuridiche ed economiche vantaggiose.