L’invidia.

Data pubblicazione: 23-set-2011 8.48.40

L’invidia è miseria per sé e per l’altro, qualunque sia la faccia della medaglia da cui la osserviamo: chi è impegnato a suscitare invidia o chi l’invidia la prova. Impropriamente si dice che l’invidioso desideri per sé il bene che possiede l’altro, in realtà non vi è desiderio alcuno, bensì volontà che nessuno abbia, appunto la miseria di cui parlavo sopra.

Intervengono due meccanismi: l’identificazione con colui che viene invidiato, la cui forma è io no/lui sì, e la negazione, ovvero non si dice ‘non voglio che tu abbia’, bensì vorrei ciò che tu possiedi.

Se così fosse, se la formula fosse davvero quella dell’anche io, non saremmo nell’ambito dell’invidia e saremo i primi interessati a conoscere come l’altro per esempio si sia procurato l’oggetto che a noi piace. Invece nell’ambito dell’invidia sappiamo che ciò non avviene, non c’è l’interesse per la qualità di quel bene, il bene interessa solo perché è dell’altro ed è questo che disturba.

Giacomo Contri in L’ordine giuridico del linguaggio riporta una parabola narrata da un autore medioevale.

Un Re convoca due peccatori tipici: un Avaro e un Invidioso e promette loro che 1 otterranno qualsiasi cosa domanderanno, 2 chi domanderà per secondo riceverà il doppio del primo. Con atroce armonia prestabilita parla per primo l’invidioso: “Strappami un occhio!”.