La seduzione oltre l'innamoramento

Di Claudia Furlanetto.

Far posto all’altro

Racconti di Isaac Singer e Georges Simenon

Nel raccontare il rapporto tra un uomo e una donna la seduzione viene spesso evocata all’interno del rituale dell’innamoramento, comunemente inteso come la via d’accesso all’amore tra due amanti. La seduzione diventa così qualcosa - a tratti di sinistro – che ammalia, fino a condurre con sé, come le note seducenti del pifferaio magico, i due partner. Il condurre con sé confonde in uno i due amanti e sfuma l’inizio del loro rapporto nell’indefinito senza tempo, nel destino che accade sopra le volontà dei singoli. La frase tipica che accompagna questo sfumare dell’inizio suona “È come se ti conoscessi da sempre…”.

Vorrei provare a presentare l’amore e la seduzione in modo diverso a partire da due preziose testimonianze narrative: il racconto di Isaac B. Singer, Lo Spinoza di via del Mercato1 e il romanzo di Georges Simenon, Tre camere a Manhattan2. Nel racconto di Singer la seduzione è un preciso e concreto atto che dà inizio all’amore tra un uomo e una donna evitando le insidie dell’innamoramento, cioè di quella tentazione di fondersi subito con l’altro per fuggire la paura di incontrarlo e conoscerlo. La seduzione è quell’atto di pensiero che consente al protagonista di far posto nella sua vita ad una donna.

Anche nel romanzo, in parte autobiografico, di Simenon si evitano i raggiri dell’innamoramento. L’incontro con l’altro senza la maschera dell’amore fatale comporta paure, difficoltà ed incertezze che rendono il rapporto dei due amanti complesso. È una complessità molto attuale, nevrotica, a tratti perversa. L’incontro, anche qui, sarà reso possibile da un atto di seduzione, consistente nel far posto nel proprio pensiero all’altro.

Nella seduzione che prepara all’amore l’inizio è un’iniziativa, non un accadere neutro, come il cosiddetto colpo di fulmine nell'innamoramento. Qualcuno ha l’onore e il merito di iniziare e questo atto inaugurale, che nel titolo ho chiamato “la seduzione oltre l’innamoramento” distingue l’inizio dell’amore dall’innamoramento, che non ha inizio, ma soprattutto non ha chi inizia, perché tutto sfuma in un uno indefinito senza tempo.

Far posto all’altro

Nel breve racconto di Singer Lo Spinoza di via del Mercato si parla di un uomo, piuttosto anziano, che trascorre la sua vecchiaia in una soffitta di Varsavia, studiando e ristudiando l’Etica di Spinoza. Un uomo libero nel pensiero, ma anche attento a mantenersi libero da vincoli, inclusi quelli matrimoniali. Egli non ha altra occupazione che quella di giungere prima o poi a completare un’opera su Spinoza, cui attende da sempre. È afflitto da mali continui e misteriosi, per i quali teme di morire presto e che hanno segnato il suo corpo, accartocciandolo quasi e rendendolo estremamente sgradevole. Quando non è impegnato negli studi o nell’osservazione del cielo stellato, il dottor Fischelson si cura di reintegrare nella sua dispensa le provviste settimanali esaurite e per far ciò si reca al mercato o nei negozi del quartiere.

Fino a quando da un giorno all’altro, a causa di una guerra incombente, tutti i negozi rimangono chiusi e il nostro uomo resta senza provviste. Prova a cercare i vecchi amici per avere informazioni e viveri, ma non trova nessuno e, pensando che per lui sia ormai giunta la fine, ritorna nella sua soffitta ad attendere rassegnato, ma anche fiducioso nell’ordine razionale dell’universo, i prossimi eventi.

Non lontano dalla sua soffitta abita una donna, detta Dobbe la Nera, anche lei piuttosto sgraziata, per l’altezza e la peluria nera, che le contorna il labbro superiore. Per tutti è ormai una zitella senza più speranze, segnata da diversi “amori sfortunati”. La donna attende da tempo una lettera di un cugino emigrato in America, che le dovrebbe inviare del denaro per consentirle di raggiungerlo.

Il giorno in cui il dottor Fischelson si corica a letto, senza aver desinato per la mancanza di cibo, Dobbe la Nera riceve finalmente la lettera del cugino. Impaziente di conoscerne il contenuto, la donna, analfabeta, va alla ricerca di qualcuno che le legga la lettera, ma non trova nessuno, tutto è chiuso e in giro non c'è anima viva. Decide allora di rivolgersi al filosofo del pianerottolo e lo cerca nella sua stanza.

Accortasi dell’uomo steso a letto, in uno stato tale da sembrarle morto, caccia un urlo, ma si riprende subito vedendo che l’uomo si è un poco mosso. Si spiegano. Lui le chiede di porgergli l’Etica e lei si premura di fornirgli cure e cibo, che lo rianimano completamente. Le attenzioni della donna verso il dottor Fischelson continuano anche nei giorni a venire, fino a che una sera il filosofo, intento come sempre nella lettura dell’Etica, senza profitto perché quella sera non riusciva a capirci nulla, alza il capo dal libro, si rivolge alla donna e finalmente le parla come non aveva fatto mai con nessuno, ovvero le domanda sinceramente, semplicemente e non banalmente, chi sia, e quindi la ascolta. “Dobbe si stupì perché nessuno le aveva mai fatto domande di quel genere”. È questo il momento inaugurale del rapporto.

La donna è generosa nel raccontare di sé, ma anche curiosa di sapere di lui, soprattutto del suo rapporto con Dio. A questa domanda l'uomo risponde così: “Dio è ovunque, è nella sinagoga, nella piazza del mercato, persino in questa camera, anche noi siamo parte di Dio”. A questo punto Dobbe se ne va, facendo pensare al dottor Fischelson di averla fatta scappare con la filosofia. La donna subito dopo rientra con le braccia cariche di panni annunciandogli: “Questo è il mio corredo”.

La sintesi del racconto di Singer finisce qui, con questa offerta di sé a Fischelson da parte di Dobbe. Il racconto invece procede ancora con la messa in scena di un lavoro della seduzione, che non ha nulla di scontato e che, per questo, è capace di aprire ai protagonisti

di questo straordinario rapporto accessi via via sempre più pieni e soddisfacenti all’universo.

“Chi è lei? Mi racconti di sé… mi fa piacere sapere di lei… se anche a lei fa piacere…”

Questo è l’inizio del rapporto, se rapporto allora amore, se amore allora universo: “Anche noi siamo parte di Dio”. Dobbe aveva capito benissimo che questa non è una frase filosofica, ma è la frase che le schiude l’universo “Anche noi due siamo parte di Dio, non genericamente noi uomini”.

La seduzione è un atto del pensiero, collocabile nel tempo e nello spazio grazie al quale avviene uno sbilanciamento, si apre uno spazio nuovo, non previsto, inatteso e sorprendente, nel quale l’altro, il partner del rapporto, se vuole, prende posto. Dobbe, donna piena di spirito, sa prendere posto e onorare così pienamente l’offerta dell’altro, fino

a ricambiare il dono del rapporto con la sua offerta del corredo nuziale, di sé. La seduzione è un fare posto all’altro nel rapporto, anzitutto facendo sì che tale rapporto si costituisca dal nuovo, o di nuovo, ovvero non sia già dato, presupposto. La seduzione è un atto costituente il rapporto nel pensiero. Dobbe non si aspettava quella domanda, la stupisce e la onora, perché mossa da un pensarla bene, ovvero non presupponendo nulla di lei; da qui l’inizio del rapporto, il suo parlare bene a lui, bene ovvero con beneficio per entrambi.

Inoltre, sorprendendo Fischelson, Dobbe coglie le dimensioni del posto che lui le fa, proprio a partire da quella precisa risposta sul rapporto dell’uomo con Dio. Dobbe, donna semplice e concreta, alla risposta “Dio è qui con noi”, non ne fa una questione filosofica, ma avverte l’agio di un pensiero che è aperto e la apre all’universo. (In fondo brani dal

racconto Lo Spinoza di via del Mercato di I. Singer)

Far posto nel proprio pensiero all’altro

Diversamente che nel racconto di Singer, nel romanzo di Simenon l’incontro tra l’uomo e la donna si complica a partire dalla presenza in entrambi, ma in particolar modo nell’uomo, di una profonda obiezione al rapporto con la donna, dovuta ad inquietudini e paure precedenti l’incontro. Diverse cose accadono prima che si amino. Il loro incontro, anche se contrassegnato da una forte intimità fisica e da un forte bisogno di vicinanza reciproca, non è l’inizio del loro amore. L’inizio in questa storia è l’accadere o piuttosto il cadere di un certo pensiero, di un’obiezione, di una diffidenza. La seduzione anche qui si configura come un far posto all’altro, previa preparazione nel proprio pensiero di questo posto. È il posto del desiderio dell’altro, che avrà il suo inizio in un pensiero controcorrente.

Tre camere a Manhattan è un romanzo autobiografico che Simenon scrisse in sei giorni nel quale si ritrovano le vicende del suo incontro con Denyse Ouimet, che diverrà la sua seconda moglie. Il romanzo è ambientato a New York, dove lo scrittore era arrivato nel 1945. L’opera non racconta eventi, ma pensieri, che si intrecciano, si snodano, si oppongono come le vie di Manhattan, che i due protagonisti spesso si trovano a percorrere a piedi.

Vi si descrive la storia di François Combe, attore francese che va a vivere nella metropoli americana. In un bar l’attore nota Kay e ne è attratto. Lei ha trentacinque anni, lui ne ha quasi cinquanta. Inoltre lei non è particolarmente bella, ma ha una voce velata di tristezza, che lascia intendere una grande solitudine, la stessa di cui soffre François. I due si mettono a parlare, bevono molto, stringono amicizia, passeggiano a lungo per le vie di Manhattan e concludono la notte in un albergo

Da questi primi passi – le passeggiate sono un tema costante, una sorta di ritornello, un calmante all’angoscia di François e Kay – se ne snodano altri, attraverso i quali entrambi i protagonisti giungeranno infine a sciogliere il loro pensiero, ad aprirsi reciprocamente.

L’amore non è un “colpo di fulmine”, non è innamoramento. Né François, né Kay sono innamorati, ma l’assenza di questa possibile tentazione, che renderebbe facile il reciproco abbandonarsi li lascia consapevoli della loro evidente difficoltà di pensare bene il rapporto con l’altro. Soprattutto François soffre la lucida consapevolezza della sua diffidenza, della sua incapacità, che non è non-volontà - ad abbandonarsi a lei, senza l’ubriacatura dell’innamoramento, sebbene la tentazione sia forte, quanto la presenza nel romanzo di Manhattan drink e di altri superalcolici.

Quanto è difficile far posto all’altro. “Tre camere a Manhattan”, ovvero luoghi molto squallidi e spogli, disabitati innanzitutto dal pensare bene il rapporto tra l’uomo e la donna. L’altro, la donna, è pensata piuttosto come qualcuno che occupa posto, che lo invade fino a far soffocare. François parla con enfasi della solitudine: « Quel che conta sono io… Io!… Io!…» E quasi lo urlava, quell’“io”. «Io, che mi sono ritrovato completamente solo! Nudo! Che ho vissuto da solo, qui, sì, proprio qui per sei mesi. Se non capisci questo, tu… tu… tu non sei degna di stare qui ».

È questo immenso io che occupa il posto dell'altro e che pre-occupa François in merito ai propri sentimenti per Kay.

“La cosa più sconcertante fu che era stato lì lì per rallegrarsi di non trovarsela accanto, mentre a distanza di un’ora, anzi di pochi minuti soltanto, un sentimento simile gli sembrava già assurdo, o addirittura mostruoso.” . E ancora, a distanza di qualche giorno dall’incontro con Kay: “La sola cosa importante era che a casa sua, nella sua camera, c’era una donna di cui non sapeva quasi niente, di cui non si fidava, una donna che adesso giudicava con lo sguardo più freddo, più lucido e più cattivo che avesse mai avuto, una donna che a tratti disprezzava e della quale sentiva di non poter più fare a meno” .

La svolta avviene grazie a Kay. È lei ad offrire a François un pensiero nuovo, che si concede il piacere dell’abbandono all’altro. Da qui gli mostrerà la via della fiducia.

Recandosi all’aeroporto, per un viaggio urgente in Messico, dove si trova la figlia che è gravemente malata, dice: “Adesso non mi sembra più una partenza, sai, ma un arrivo”.

La donna sta lasciando la città, o meglio la camera dove con François ha lottato per vincere le reciproche solitudini, diretta in Messico per un fatto grave, che potrebbe anche allontanarla definitivamente da François, eppure lei ora ritrova nel suo pensiero il posto per l’altro. Se ne va portando in sé il senso di un arrivo non di un allontanamento. Fatto questo posto in sé non ha alcun timore a partire, non sarà più sola. È questo per lei l’inizio del rapporto con François, ma lo sarà anche per lui, perché questo pensiero l’uomo, lo accoglierà, lo respingerà, ma infine, lo ospiterà, lo farà suo.

(Kay) “«Non credevo che saresti venuto, non osavo neppure sperarlo, mi succedeva perfino di desiderare il contrario. Ricordi la stazione, il taxi, la pioggia, le parole che ti ho detto allora e che credevo non avresti mai capito? »

(François) «Non era una partenza… Era un arrivo… (…)» Domani non sarebbero più stati soli, non sarebbero mai più stati soli, e quando lei all’improvviso ebbe un brivido, quando lui sentì, quasi contemporaneamente, una punta dell’antica angoscia ridestarsi e stringergli la gola, entrambi capirono di aver gettato nello stesso istante, senza volerlo, un ultimo sguardo sulla solitudine in cui erano vissuti fino ad allora ed entrambi si domandarono come avessero potuto sopportarla (…) Niente più camere a Manhattan. Non ce n’era più bisogno. Ormai potevano andare dovunque…”.

Quel pensiero contro-corrente di Kay, arrivo, che è pensiero del desiderio e non della paura dell’altro, dopo essere stato riconosciuto e fatto proprio da François, diventa la partenza del loro rapporto. L’inizio del loro amore. Solo qui si comincia, senza fretta. Non saranno più soli, ma anche – a confermare che se amore, allora universo – il luogo del loro incontro non sarà più solo una camera da letto, ma il mondo, l’universo. Arrivo… è un pensiero-controcorrente, autentico quasi come un lapsus, dove il desiderio filtra senza più riserve e obiezioni. François è un bravo amante, innanzitutto perché riconosce fino a desiderare anche lui questa verità.

La seduzione, che non ha nulla a che vedere con l’innamoramento, è l’inizio dell’amore, che accade per iniziativa di uno nel rapporto, cui l’altro non si oppone (Dobbe La Nera), o non si oppone più (François Combe). [Georges Simenon, Tre camere aManhattan, Adelphi, Milano 1998].

Brani dal racconto

Lo Spinoza di via del Mercato di I. Singer

(L'incontro)

“Poi, una sera che Dobbe gli aveva portato il solito bicchiere di tè col latte e i biscotti, il dottor Fischelson le chiese di dov'era, chi erano i suoi e perché non si era sposata. Dobbe si stupì perché nessuno le aveva mai fatto domande di quel genere, gli raccontò pacatamente la sua storia e rimase da lui fino alle undici (…) Il dottor Fischelson l'ascoltò attentamente e

le fece qualche domanda, scuotendo la testa e borbottando.

– Ma tu credi in Dio? le domandò infine.

– Non lo so – rispose Dobbe – E lei?

– Io sì.

– E allora perché non va alla sinagoga – gli chiese.

– Dio è ovunque – rispose il dottore – È nella sinagoga, nella piazza del mercato, persino in questa camera. Anche noi siamo parte di Dio.

– Non dica di queste cose – fece Dobbe – mi fa paura.

Poi uscì dalla camera e il dottor Fischelson pensò che fosse andata a dormire, ma si chiese

perché non gli avesse dato la buonanotte:

– Devo averla fatta scappare con la mia filosofia – si disse.

Un attimo dopo sentì i suoi passi e la vide arrivare: era carica di panni come un venditore

ambulante.

– Volevo mostrarle questa roba – gli disse – È il mio corredo.

(Dopo il matrimonio)

Una volta in camera sua, il dottor Fischelson si sdraiò sul letto appena rifatto e si mise a leggere l'Etica. Dobbe era tornata nella sua stanza. Il dottore le aveva spiegato che era vecchio, malato e privo di forze e non le aveva promesso nulla, ma lei gli si ripresentò ugualmente in camicia da notte di seta e pantofole col pompon. Aveva i capelli sciolti sulle spalle, un sorriso sul volto e un'espressione timida ed esitante. Il dottore ebbe un tremito e l'Etica gli cadde di mano, mentre la candela si spegneva. Nel buio Dobbe cercò a tastoni il dottor Fischelson e lo baciò sulla bocca dicendo: Mazel tov, marito mio.

Ciò che accadde quella notte fu una sorta di miracolo. Se non fosse stato convinto che tutto avviene secondo le leggi di natura, il dottor Fischelson avrebbe pensato che Dobbe la Nera lo aveva stregato. In lui si ridestarono impulsi sopiti da molto tempo; durante le benedizioni aveva bevuto solo un sorso di vino, eppure era come inebriato. Baciò Dobbe e le parlò d'amore mentre gli tornavano alle labbra citazioni di Klopstock, Lessing e Goethe ormai dimenticate da un pezzo. Il peso allo stomaco e il dolore svanirono: il dottor Fischelson abbracciò Dobbe, si strinse a lei e ritrovò il suo vigore giovanile. Dobbe si sentì mancare dalla gioia e fra le lacrime gli mormorò qualcosa in un incomprensibile gergo di Varsavia. Poi il dottor Fischelson cadde in quel sonno profondo che è privilegio dei giovani e sognò che era in Svizzera e saliva su per le montagne, correndo, cadendo, volando...

(Il divorzio da Spinoza)

All'alba aprì gli occhi (…) Il dottor Fischelson alzò lo sguardo verso l'alto: la nera volta .celeste era tempestata di stelle, verdi, rosse, gialle e azzurre, grandi e piccole, fisse e palpitanti, isolate o raggruppate in fitti ammassi. Nell'alto dei cieli doveva essere passato quasi inosservato il fatto che nella sua vecchiaia un certo dottor Fischelson avesse sposato una donna di nome Dobbe la Nera; persino la Grande Guerra, vista dall'alto, non era altro che un effimero intreccio dei modi. Nello spazio illimitato miriadi di stelle fisse continuavano a seguire i loro immutabili percorsi, mentre comete, satelliti e asteroidi seguitavano a ruotare intorno a quei perni luminosi. (…) Sì, la sostanza divina era estesa e non aveva né inizio né fine; era assoluta, indivisibile, eterna, priva di durata e infinita nei suoi attributi. (…) Il dottore chiuse gli occhi, lasciando che la brezza gli rinfrescasse la fronte sudata e gli scompigliasse la barba; poi aspirò profondamente l'aria della notte, appoggiò sul davanzale le mani tremanti e mormorò: Perdonami, divino Spinoza. Sono diventato uno sciocco.

Isaac B. Singer, “Lo Spinoza di via del Mercato”, in Racconti, i Meridiani, Mondadori, Milano 1998.

* Una simile versione del testo è apparsa nella rivista “L'Ippogrifo”, Edizioni Il Segno di Pordenone nel 2006.