“Ti faccio una confidenza”.

Data pubblicazione: 25-feb-2011 12.29.34

Occorre porre una distinzione molto importante tra fare una confidenza ed essere nella confidenza. Distinzione che a primo acchito può sembrare priva di valore, ma che invece pone le premesse per due forme di rapporto completamente diverse.

“Ti faccio una confidenza”, cosa significa? L’altro a cui confidiamo il nostro segreto diventa il custode di un qualcosa che non può essere ulteriormente fatto oggetto di lavoro, l’altro è chiamato ad occupare un posto fisso come un qualsiasi contenitore: (da qui l’espressione di una mamma nei confronti della figlia cui faceva le confidenze: “Tu sei la mia bara”), cui l’unica richiesta è di non tradire il segreto, ovvero di non fare in modo che quella confidenza arrivi ad altri, pena una punizione. Questa modalità non produce ricchezza, in quanto il soggetto che deve occupare una tale posizione è chiamato alla inattività, alla non produzione, quindi alla miseria.

Eppure questa forma è molto diffusa, perchè affascina l’idea della condivisione di qualcosa, della complicità che ne può derivare. Ma è una illusione in quanto la condivisione è un’altra cosa, assume una forma diversa, giunge ad una conclusione differente.

Pensiamo al caso in cui una persona mi onori di rendermi partecipe di un proprio vissuto, la forma con la quale io posso farmi partecipe di questa confidenza è prima di tutto quella dell’accoglienza e poi successivamente della elaborazione di pensieri che possano portare un qualche beneficio a colui che tali confidenze mi ha portato e a colui che è stato scelto per questa confidenza. In questo caso essere nella confidenza ci permette di avere cura dell’altro, anzichè limitarci ad accudirlo.