Vendetta in F. Dürrenmatt

Vendetta, ovvero la giustizia come oggetto.

Di Claudia Furlanetto

“voler conservare la propria innocenza è

impresa impossibile, meglio sarebbe

confessando una colpa passare all'innocenza. …

Più tardi sarà costretto non a scegliersi una

colpa, ma a lasciarsela attribuire”

F. Dürrenmatt, La panne. Una storia ancora

Possibile

Alcuni racconti di Friedrich Dürrenmatt affrontano il tema della giustizia, “ancora possibile” per l'autore anche dopo che il diritto statuale non è riuscito a vedere e a sanzionare le ingiustizie accadute. Tuttavia il pensiero dell'autore pur individuando con straordinaria finezza investigativa queste ingiustizie e ricollegandole alle colpe, irretisce il pensiero alla Colpa dell'altro, che risulta così incorreggibile e costringe tanto la vittima quanto il colpevole in posti fissi, rigidi, inamovibili e quindi fonte di ulteriori sofferenze.

Riassumo brevemente due suoi libri, il primo è La panne. Una storia ancora possibile, un racconto breve in cui un commesso viaggiatore si ritrova a dover rispondere delle sue colpe ad una commissione giudicatrice, mascherata dietro i falsi e benevoli volti di una compagnia di quattro gaudenti vecchietti; colpe, che diventano sempre più “colpevoli”, quanto meno il malcapitato ospite imputa a propri atti e scelte taluni effetti tragici occorsi a persone con cui era in rapporto. Ad esempio, si viene a sapere che la morte del suo superiore, supposta accidentale, era da porre in connessione con l'adulterio della moglie. Questo era stato consumato proprio con il commesso viaggiatore e da questi rivelato all'uomo, cui successivamente non ha retto il cuore, già sofferente, com'era noto a tutti e quindi anche al commesso, che era stato nell'ordine: dipendente, amante della

moglie e infine spia dell'adulterio. La morte del suo superiore, causata dalla insopportabile rivelazione, ha favorito una carriera di successo che non era prima immaginabile, tanto da far supporre all'attenta commissione giudicatrice, tra un brindisi e l'altro, che proprio questa fosse l'unica ragione dell'adulterio consumato con la moglie del suo titolare, dal momento che dopo la sua morte, il commesso si è del tutto disinteressato della sua amante divenuta vedova. Alla lenta e puntigliosa ricostruzione dei fatti da parte della compagnia di decrepiti vecchietti, fa da contraltare la stupida ottusità e baldanza del commesso, che mai cede beneficamente alla propria debolezza, restando pervicacemente legato a una ricostruzione dei fatti in cui nulla lo riguarda e tutto accade secondo la necessità del destino. L'anziano compagno di serata che si è assunto il ruolo di difensore del malcapitato commesso viaggiatore prova fin dall'inizio a renderlo consapevole dei benefici dell'imputabilità affermando: “voler conservare la propria innocenza è impresa impossibile, meglio sarebbe confessando una colpa passare all'innocenza. ...Più tardi sarà costretto non a scegliersi una colpa, ma a lasciarsela attribuire”.

Tuttavia questo modo di intendere l'imputabilità, come “confessione di una colpa”, porta Dürrenmatt ad applicare una teoria della giustizia come oggetto, come assoluto, da cui è escluso il pensiero della legge, che non è legge astratta, ma legge del rapporto con l'altro, che richiede che la colpa sia trattabile, emendabile, pensabile affinché l'alternativa del rapporto sia sempre possibile, e non esclusa a priori dall'assolutezza della Colpa (absoluta, cioè sciolta dal rapporto con l'altro).

L'esito della tragica vicenda imperniata sulla Colpa non può che essere uno, la morte per senso di colpa dell'imputato. La commissione giudicatrice ha espresso il suo verdetto di morte, l'imputato-commesso si ritira nella sua camera; l'indomani quando i vecchietti si alzano non trovano l'ospite, lo cercano nella sua camera e lo trovano morto, si era suicidato.

L'imputabilità come ammissione dell'errore e connessa correzione non è ammessa da Dürrenmatt: o la presupposta innocenza come frutto della Teoria del destino e degli eventi occasionali (se non ci fosse stata la panne, cioè il guasto alla macchina, quell'uomo non sarebbe mai incorso nella “giustizia” e lui stesso avrebbe continuato a vivere nell'inconsapevolezza delle conseguenze dei suoi atti) o la condanna senza correzione.

L'universo di Dürrenmatt è pieno di colpe senza imputabilità, ovvero di una tragica solitudine.

Lo scrittore svizzero aveva scritto anche un secondo finale per questa storia. Tutti i commensali andavano a dormire e l'indomani si alzavano; il commesso viaggiatore ripartiva come se nulla fosse successo. O la morte per senso di colpa o la rimozione.

L'uomo resta solo con le sue colpe, non correggibili, mancando il pensiero del rapporto con l'altro. La giustizia è astratta, è un Oggetto appunto, non è occasione di elaborazione di una legge di rapporto con l'altro. I finali dei racconti di Dürrenmatt lasciano l'amaro in bocca, ovvero la sensazione che giustizia sia stata fatta ingiustamente, fallendo l'obiettivo, tanto da preferirle - è lo stesso autore a suggerirlo – il ritorno alla rimozione (che non è il ritorno del rimosso), ovvero al solito inconsapevole condursi nell'ignoranza degli effetti del nostro agire sulle vite degli altri.

Un secondo racconto si intitola La visita della vecchia signora. Un intero paese, ridotto in rovina per la chiusura delle un tempo fiorenti fabbriche, sta aspettando la visita di una vecchia signora, nata nel paese, divenuta miliardaria grazie ad alcuni fortunati matrimoni con uomini incredibilmente ricchi. Tutto il paese si prepara ad accoglierla, anche il suo vecchio e primo amante, che anzi dà suggerimenti al borgomastro per il discorso di benvenuto. Quando la signora arriva con tutto il suo corteo di servitori, lacché e l'ultimo marito gli ingenui paesani vengono subito avvertiti delle sue spaventose intenzioni. Vuole vendicare con la morte del suo vecchio amante l'ingiustizia patita a causa sua: dopo averla messa incinta con l'inganno, cioè pagando due falsi testimoni, ha evitato il riconoscimento della paternità facendola passare per prostituta. Gravida e infamata cinquant'anni prima non aveva potuto che andarsene dal paese e per vivere fu costretta davvero a prostituirsi. La bambina nata fu data in affido ad una famiglia ma poco dopo morì di meningite. L'odio accumulato verso l'amante e gli indifferenti concittadini non si è mai assopito e le ha permesso di condurre una vita infame e di collezionare nei modi più cinici una serie di matrimoni di convenienza. È riuscita persino, unica, a sopravvivere ad un incidente aereo, di cui porta i segni con diverse protesi al corpo. Questa donna riuscirà ad avere giustizia isolando e riducendo al silenzio totale quell'uomo di cui fu amante. Senza muovere un dito, ma solo con la forza corruttrice del denaro, riuscirà a far sì che quell'uomo muoia, senza alla fine neanche averne soddisfazione...

La giustizia astratta dal rapporto si può fare solo con la vendetta. La giustizia pensata nel rapporto è lavoro di imputabilità di un errore, che se anche viene fatto da una sola persona e salva per questa persona il pensiero/legge del rapporto con l'altro. Schiacciare l'altro sulla colpa anziché imputargli l'errore vuol dire pensarlo per sempre fuori dal rapporto con me, e la vendetta sancisce questa esclusione ed autoesclusione dal rapporto.

L'imputabilità all'altro dell'errore con lavoro di giudizio comporta custodire il pensiero del rapporto, lasciando l'altro libero di imputarsi l'errore quando e come e se lo vorrà (se non lo fa peggio per lui, è lui il primo beneficiario dell'imputabilità). Quanto al soggetto colpito dall'offesa l'imputabilità dell'altro (così come la propria) consente di non ricorrere alla vendetta e di non legittimare nell'altro il pensiero della vendetta.

Ho raccolto questa interessante affermazione: “Ho l'impressione che per vincere [la battaglia della aver ragione/giudizio con un certa persona) devo cedere” … “Non si tratta tanto di cedere alla richiesta dell'altro ma alla mia resistenza”. È un pensiero davvero felice, perché la resistenza è proprio costituita da pensieri di rivendicazione: … avendo l'altro torto io non cedo, non gli darò mai ragione e farò di tutto per fargli capire che con me è in colpa... Il nuovo pensiero è: l'altro ha fatto degli errori con me, ma non ho più voglia di opporgli resistenza, che se la veda da solo con i suoi errori, io sono pronto ad altro; questo pensiero mi libera ed è come se avessi vinto la battaglia in cui per una vita l'altro mi ha tenuto stretto a sé e anch'io...

Cedere, questo verbo apparentemente debole fa segno invece verso una forza rinnovata, una possibilità inaugurale di rapporto. Parafrasando Jacques Lacan si potrebbe dire che val bene cedere, far cadere i pensieri rivendicativi connessi ad una teoria della giustizia come oggetto, per non cedere sul proprio desiderio che è pensiero, giudizio elaborante come sempre possibile una legge di rapporto che fa e rifa (non è mai fatto una volta per tutte) posto all'altro.