Antonio Sanna
L’INTREPIDO SOLDATO
Si era arruolato molto giovane nell’esercito ed aveva frequentato la scuola sottufficiali di
Ostia, conseguendo il grado di sergente. Rientrato in sede a Cagliari, era ripartito, appena
ventitreenne, per il fronte greco albanese nel novembre del 1940 con il grado di sergente
maggiore, subito dopo l’inizio delle ostilità avviate con la dichiarazione di guerra del 28 ottobre
precedente.
Si era subito trovato in una situazione critica perché, al nostro primo balzo offensivo, aveva
fatto seguito una vigorosa controffensiva greca, che aveva costretto le nostre forze ad un
ripiegamento di circa 50 chilometri in territorio albanese, con l’abbandono di diversi centri e
conseguenti gravi perdite.
Eppure la campagna era iniziata sotto i migliori auspici.
“Spezzeremo le reni alla Grecia” si era tuonato nell’aprire il nuovo fronte dei Balcani,
convinti di fare una passeggiata e di chiudere la pratica in breve tempo.
Si era convinti, per erronee valutazioni dei nostri alti comandi, di trovarsi di fronte ad un
avversario numericamente molto inferiore ed era stato ritenuto sufficiente schierare, su un fronte
di 250 chilometri, due armate, la IX^ e L’XI^, della complessiva forza di 100.000 uomini,
rispettivamente verso la Macedonia e verso l’Epiro.
Dette armate, composte da diverse divisioni di fanteria, una corazzata ed alcune
motorizzate e dall’alpina Julia, comprendevano anche alcuni reparti albanesi, quasi del tutto
inaffidabili, dal momento che di una unità di 1.000 uomini sulla linea del fuoco ne erano rimasti
solo 120 e gli altri erano scappati.
Ci fronteggiava, viceversa, un esercito di circa 100.000 uomini, non molto dissimile dal
nostro per l’inadeguatezza dell’organizzazione e dell’efficienza, ma pronto a battersi bene in difesa
di un terreno che conosceva a perfezione, sorretto da grande entusiasmo patriottico.
Le loro divisioni, sia pur inferiori di numero, erano tuttavia le cosiddette Ternarie,
comprendenti, cioè, tre brigate forti di circa 8.000 uomini ciascuna. Contrariamente alle nostre
Binarie formate da due brigate che non superavano i quattromila effettivi.
Sicché, facendo il conto dei reparti, risultava in zona operazioni un pari numero di greci di
fronte agli italiani e non una superiorità di due a uno in nostro favore, come dichiarato dal nostro
comando generale.
A seguito dello sfondamento delle nostre linee che ci aveva costretti ad una precipitosa
ritirata in posizioni, come usa dirsi, strategicamente più favorevoli, era stata faticosamente
stabilita una nuova linea difensiva ed evitata la separazione delle due armate che avrebbe potuto
comportare gravissimi rischi per il prosieguo delle operazioni.
Le perdite erano risultate da subito molto pesanti.
La campagna, riavviata nella successiva primavera sino alla conclusione vittoriosa grazie al
determinante intervento dell’alleato germanico, era costata all’Italia 20.000 morti, 40.000 feriti e
26.000 prigionieri. Tali perdite erano da attribuire soprattutto al congelamento di migliaia di
soldati a causa dell’inverno molto rigido e del terreno innevato.
In questo girone infernale si era d’improvviso trovato, come detto, il giovane sottufficiale
ittirese Antonio Sanna, in forze presso un reggimento della IX^ armata. L’impatto con la cruda
realtà della guerra non era stato dei più facili, anche perché aveva raggiunto il fronte in
concomitanza con l’imprevisto ripiegamento del nostro esercito, che aveva prodotto un grande
abbattimento morale ed un conseguente disordine che rasentava il caos. In questi frangenti aveva
assistito a molti dolorosi episodi che non avrebbe mai più dimenticato.
La ripresa della nostra offensiva nei primi mesi del 1941, lo aveva visto di nuovo in prima
linea, deciso a battersi sino in fondo. Il suo forte carattere e lo spirito fiero non tolleravano
tentennamenti o indecisioni di sorta.
Era spesso protagonista di azioni temerarie che affrontava con pochi altri ardimentosi con
assoluto sprezzo della vita ed era sempre il primo ad offrirsi volontario nelle situazioni di maggior
pericolo.
E’ uno di questi episodi che ne attesta le doti di combattente generoso e impavido.
Al suo reparto era stato assegnato il compito di occupare di sorpresa e in pieno giorno una
fortificatissima posizione nemica in cima ad un colle. Un avamposto che resisteva ai nostri assalti
da due giorni e ci aveva causato numerose perdite. Anche in questa circostanza aveva prevalso il
suo altruismo e si era offerto spontaneamente per l’ardua impresa.
Il reparto veniva, purtroppo, falcidiato dal fuoco delle mitragliatrici e perdeva gli ufficiali e
gran parte degli effettivi. Assunto il comando e raccolti i superstiti, riusciva a riconquistare le armi
in precedenza abbandonate e ad espugnare in serata il caposaldo nemico, con lancio di bombe a
mano ed assalto alla baionetta. Ciò consentiva il ricupero dei numerosi feriti e dei corpi dei
commilitoni immolatisi.
Il gesto di grande coraggio ed eroismo gli era valso l’elogio e l’apprezzamento unanime e,
in modo particolare, il rispetto e l’ammirazione dei superiori.
Il suo colonnello comandante procedeva alla immediata promozione sul campo da sergente
maggiore ad aiutante di battaglia per merito di guerra – massimo grado attribuito alla categoria
sottufficiali, immediatamente superiore a quello di maresciallo aiutante - , in alternativa alla
proposta di concessione della medaglia d’oro al valor militare.
L’eccezionale riconoscimento esaltava la prodezza con la motivazione che riportiamo di
seguito: Sottufficiale di temperamento fiero e vibrante sempre pronto a tutto osare.
Volontariamente offrivasi di voler partecipare al generoso tentativo di occupare, di sorpresa e in
pieno giorno, una munitissima posizione nemica che da quarantotto ore resisteva ai nostri assalti.
Massacrati quasi tutti i propri uomini dal micidiale fuoco delle mitragliatrici avversarie, feriti a
morte tutti gli ufficiali, raccoglieva intorno a se con la virtù animatrice dell’esempio i militari
superstiti e ricuperava le armi automatiche del reparto.
A sera portavasi sotto la posizione nemica e, dopo aver ributtato con bombe a mano elementi
avanzati avversari, occupava la posizione contesa sottraendo al nemico la preziosa preda dei
propri ufficiali caduti e assicurando altresì il ricupero dei numerosi feriti.
Guerra italo – greca 1940 – 1941 settore Maritizai 9 maggio 1941.
Il rientro in patria era avvenuto solo nel gennaio del 1947, dopo aver sopportato i sacrifici e
le ristrettezze di una lunga prigionia che avrebbe potuto evitare aderendo all’invito di collaborare
con i vincitori.
Aveva ripreso servizio a Sassari presso il 151° reggimento della Brigata Sassari, e quindi
trasferito, dopo altre brevi permanenze a Cagliari e Siena, nel 59° reggimento e poi nell’82°
reggimento della divisione Folgore di stanza a Palmanova.
Nell’ottobre del 1954 aveva partecipato col suo reggimento al ritorno dell’Italia a Trieste.
La città, come noto, era stata occupata nel 1945 dai titini e la Venezia Giulia divisa in due: la zona
A con Trieste, veniva posta sotto il controllo anglo – americano e la zona B affidata alla Jugoslavia.
Col successivo trattato di pace di Parigi del 1947, veniva confermata la perdita italiana di
Istria, Fiume e Zara e costituito un territorio libero di Trieste (TLT) che veniva diviso in due distinte
zone di occupazione (anglo – americana e jugoslava).
Nel 1954 a Londra, col memorandum d’intesa tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia e
Jugoslavia, si era proceduto alla spartizione del TLT: la zona A passava sotto l’amministrazione
italiana, la zona B assegnata alla Jugoslavia. Ciò determinava la diaspora di oltre 180.000 profughi
italiani.
Era stato questo un periodo di alta tensione. I segnali di malcontento erano subito apparsi
un po’ dovunque perché i triestini mal sopportavano lo status di separati in casa.
La situazione era poi sfociata, dopo diversi episodi di intolleranza, in una vera e propria
rivolta alla fine del 1953, allorquando le autorità britanniche si erano opposte all’esposizione del
tricolore in occasione dell’anniversario del 4 novembre 1918.
Nella circostanza, migliaia di manifestanti erano stati brutalmente affrontati dalla polizia
civile agli ordini degli inglesi, che non aveva esitato a sparare ad altezza d’uomo, provocando una
carneficina. Erano rimasti sul campo sei morti e diecine di feriti, in gran parte esuli istriani e
marittimi triestini.
Il gravissimo episodio aveva suscitato enorme impressione ed unanime sdegno nella
pubblica opinione e, probabilmente, anticipato i tempi di definizione dell’anomala situazione.
Aveva in seguito prestato servizio a Cormons e, quindi, nel distretto militare di Sassari sino
al congedo del 1972.
Era rimasto a lungo l’unico aiutante di battaglia vivente, degno rappresentante di una
eletta categoria di valorosi.
Era stato insignito della croce d’oro al merito e delle onorificenze di cavaliere e di
commendatore al merito della Repubblica.
Gli ultimi anni della sua vita li aveva serenamente trascorsi a Siligo, dove si era trasferito
con la famiglia e dove aveva cessato di vivere il 1° luglio del 2001.
Un picchetto dell’esercito gli aveva reso gli onori militari durante i solenni funerali.
Nella sua cittadina natale viene oggi meritatamente ricordato con l’intitolazione di una via
a suo nome.
Salvatore Carboni