Ittiri: bambini di altri tempi.

Ittiri: ricordi di un bambino ruspante di altri tempi

Vedere i bambini di oggi e pensare ai bambini della mia infanzia sembra di vedere due specie diverse di bambini, da una parte i bambini come dire ruspanti, e dall’altra i bambini figli del consumismo. Do una breve idea del bambino di ieri, fine anni quaranta inizi anni cinquanta.

Quasi tutti i bambini allora avevano lo stesso ”look”, pantaloni corti con le bretelle e vita quasi ascellare, camicia abbottonata fino al collo, e i più fortunati qualche maglione fatto dalla mamma o dalla nonna e i piedi scalzi, almeno da marzo a novembre.

Ricordo che nei primi anni della scuola elementare, io ed il mio vicino di casa avevamo ogni giorno un problema in più rispetto ai nostri compagni, ed era quello di nascondere le scarpe in campagna in mezzo alle frasche, per essere uguali agli altri compagni di classe, per lo più scalzi, ed anche per non disturbare con le scarpe chiodate ( sa bullitas), fatte a mano dal calzolaio, le insegnanti quando si entrava in classe o quando si andava in bagno.

Le scarpe erano il nostro “handicap”, perché con esse infilate non ti facevano giocare a pallone (si chiamava anche allora così, ma era uno straccio vecchio imbottito di altri stracci vecchi e legato con dello spago fatto a mano con le palme della nurra,).

Ed allora i “diversi” per apparire normali e partecipare ai giochi collettivi dovevano levarsi questo “peso” dai piedi.

Stessa regola quando si facevano le corse nel vicinato, corse non stagionali, ma quotidiane, perché noi bambini eravamo allenati a correre fin dal primo anno di vita.

Si correva per gioco, si correva per competere con gli altri bambini della strada vicina, si correva per sfuggire a qualche “sussa” dei genitori, si correva per fuggire dalle campagne dove si andava a mangiare la frutta, quasi sempre senza il permesso del padrone. Non si correva per sfuggire ai cani, perché quelli si sapevano affrontare, diversamente venivi deriso dai compagni.

Ricordo il nome delle prime calze, si chiamavano “pezzas de pe”, erano degli stracci che grandi e piccoli si avvolgevano intorno ai piedi, senza farli sporgere dalla scarpa alta, le scarpe basse le avevano solo gli adulti per la domenica o per le feste importanti.

Noi bambini venivamo svegliati dai genitori alle 6 del mattino ed anche prima , ed il nostro primo compito era quello di portare la legna dal cortile per fare il fuoco, che doveva servire per riscaldarci, ma anche per cucinare. La colazione era quasi sempre a base di cibo avanzato dalla sera prima, oppure si faceva su “pane untinadu”, (erano delle focacce fatte in casa che venivano abbrustolite al fuoco ed unte col grasso del lardo e delle salsicce,). Il latte veniva dato solo ai bambini malati o ai figli dei pastori.

Subito dopo la colazione i genitori andavano in campagna, e noi bambini occupavano le strade in mezzo a galline ruspanti come noi ed altri animali.

Prima di andare a scuola, noi bambini eravamo già stanchi di giocare e spesso a scuola arrivavamo tutti sudati, senza fare alcuna doccia, perché questa era una pratica fastidiosa che si svolgeva dentro un paiolo con un po’ d’acqua scaldata col fornello a carbone durante l’inverno e nel fiume (Zeppere) d’estate, non più di una volta la settimana, i più scrupolosi.

A scuola, vicina o lontana che fosse, i bambini andavano e tornavano da soli o in compagnia degli altri bambini del vicinato e spesso al ritorno si accompagnavano a casa i bambini che avevano riportato un brutto voto, gridandogli dietro in coro “zero chi ti zero boccia chi ti boccia” .

L’insegnante era rispettato e temuto da noi bambini perché qualsiasi cosa dicesse, vera o falsa, aveva sempre ragione e i nostri genitori, se lui ci sgridava o ci picchiava ( perché allora gli insegnanti davano anche calci e schiaffi agli alunni) non denunciavano ma completavano l’opera.

Noi eravamo bilingue almeno dalla seconda - terza elementare in poi, perché l’italiano era la nostra lingua straniera ed il sardo la nostra lingua madre. Mi ricordo una frase scritta in un tema di allora che diceva così: “Quella morrocula mi ricorda quando giocavo a troglio a cento ibbaboni alla cantonata” chi ha vissuto in quel periodo nei paesi può capire.

Oggi quanti dibattiti per far rivivere nelle scuole quella nostra prima lingua che ormai sta scomparendo nelle giovani generazioni!

Il pranzo nelle nostre case non aveva molta importanza perché i nostri genitori erano per lo più in campagna ed allora noi bambini ci dovevamo arrangiare. Spesso si prendevano due uova dal cortile dove erano le galline e con un po’ di lardo e cipolla si preparava il pranzo. Il pane non si comprava perché veniva fatto dalla mamma ogni 15 giorni e conservato nella madia in cucina.

Non ricordo bene se i compiti a casa esistevano o se ero io che non li facevo.

Dopo pranzo tutti i bambini andavano a giocare per strada o nelle campagne vicine al paese, dove in ogni periodo dell’anno c’erano erbe mangerecce, che noi conoscevamo bene fin da piccoli e delle quali per forza di cose andavamo ghiotti.

I nostri giochi erano semplici e quasi sempre di movimento: corsa, gioco della palla, nascondiglio, “bacchetta andante” e raccolta di frutta nelle campagne limitrofe al paese, che a causa delle nostre incursioni vandaliche penso avessero meno valore.

Arrivata la sera tutti a casa ad attendere l’arrivo dalla campagna dei genitori oppure solo del babbo.

Questo era il momento della resa dei conti perché la mamma, ancora prima che il marito entrasse in casa, lo informava delle malefatte giornaliere del figlio che, in disparte, dopo aver supplicato invano la madre perché tacesse, aspettava la sentenza che poteva essere immediate o ritardata di qualche ora, proprio prima di andare a letto quando la corda o la cintola segnava le gambe, già segnate dagli arbusti della campagna.

Ma nonostante questi incidenti serali ai nostri genitori volevamo un mondo di bene.

Una cosa che ricordo con il sorriso è la scarsezza di denaro per cui almeno nel mio paese il baratto era cosa frequente.

Mia madre mi mandava a fare la spesa col cestino del grano che il negoziante scambiava con zucchero, burro, sale etc.

La maggior parte degli alimenti e delle materie prime erano fatte in casa. In casa si faceva il pane, la pasta, le conserve, l’olio, il sapone (non di Marsiglia naturalmente), in casa c’era la carne delle galline, del maiale, dei conigli, qualche pernice, le salsicce , il lardo, le olive da confetto e tutte le verdure che nascevano spontanee nelle campagne: asparagi, bietole, cardi selvatici, erba cipollina, ed ancora il corbezzolo, il mirto ed altre sicuramente numerose che non ricordo.

Anche al cinema si entrava pagando con materie prime tipo grano e uova.

Queste ultime erano merce facile da trovare per tutti i bambini perché in ogni cortile c’erano le galline e quindi procurarsi qualche uovo per poter entrare al cinema non era cosa difficile.

Le galline di mia zia per lei non covavano più e questo perché il sottoscritto non si perdeva un film.

Mi dispiaceva perché dopo un po’, la domenica, le cucinava e poi le sostituiva con altre; non aveva capito, la poveretta, nonostante l’età, la causa della scarsa ovulazione delle sue galline.

Potrei ancora continuare per giorni ma penso che abbiate capito che quei bambini erano di una specie diversa rispetto a quelli dei nostri giorni.

Salvatore Delogu