Oscar, nonna Rosa, Gesù

Da Eric-Emmanuel Schmitt - Oscar e la dama in rosa

2007 RCS Libri S.p.A., Milano (attualmente edito come “Oscar e la dama rosa”, edizioni e/o, 2015)

Titolo originale dell'opera: "Oscar e la dame rose", 2002 Éditions Albin Michel S.A..

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Una nota sul romanzo: il romanzo racconta gli ultimi giorni di vita di Oscar, bambino di dieci anni malato di cancro, attraverso le lettere che il piccolo scrive a Dio ogni giorno.

Oscar, soprannominato Testa Pelata per via del cranio completamente calvo a causa delle cure per il cancro a cui si sottopone, trascorre il suo tempo in ospedale, in un reparto riservato ai bambini con malattie gravi, i suoi unici amici. Soffre, sa che cure e trapianti non hanno avuto buon esito, sa che presto morirà. In questa situazione di grande tristezza irrompe Nonna Rosa, una “dama rosa”, come vengono chiamate le volontarie che prestano assistenza ai degenti, per via, appunto, del camice rosa che indossano. Durante le quotidiane visite l’anziana signora, l’unica ad intuire la voglia di risposte del bambino e che arriva ad inventarsi un passato personale di lottatrice di wrestling per farlo divertire, stringe con Oscar un formidabile legame d’affetto e lo invita a fare un gioco: fingere che ogni giorno duri dieci anni e scrivere ogni giorno una lettera a Dio in cui raccontare le avventure e le esperienze della sua nuova vita all’acceleratore.

Oscar accetta. Seguono dodici lettere, una per ognuno dei giorni in cui si concentrerà la sua vita. Il racconto, diverso a seconda della fase di età in cui Oscar si immagina di vivere (a vent’anni, a quaranta, a novanta) è un’epopea rutilante di avvenimenti, quelli che il bambino non avrà tempo di vivere, e di desideri esauditi (tra questi l’innamoramento, il fidanzamento e il matrimonio con Peggy Blue, una bambina ricoverata nel suo stesso Ospedale) che non avrà il tempo di desiderare. Ma il racconto è anche una possibilità per Oscar di esprimere le proprie paure e i problemi che ha nei rapporti con i genitori, i medici e gli infermieri, incapaci di affrontare con lui l’idea della sua morte imminente.

A centodieci anni, dieci giorni dopo l’inizio del gioco, Oscar si addormenta lasciando un biglietto sul comodino: «Solo Dio è autorizzato a svegliarmi».

Nel raccontare la storia di Oscar, Eric-Emmanuel Schmitt sceglie, come interlocutore del bambino, Dio: colui che renderà possibile il miracolo di una lunga vita immaginata e l’unico a cui verrà riconosciuto il diritto di svegliarlo con “una visita in spirito” quando, a 110 anni e sazio di anni, se ne andrà.

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"Se andassimo a trovare Dio?"

"Ah, ecco, ha il suo indirizzo?"

"Penso che sia nella cappella."

Nonna Rosa mi ha vestito come se si partisse per il Polo Nord, mi ha preso fra le sue braccia e mi ha accompagnato alla cappella che si trova in fondo al parco dell'ospedale, oltre i prati gelati.

Insomma, non sto a spiegarti dov'è, visto che è casa tua.

È stato un colpo quando ho visto la tua statua, insomma, quando ho visto in che stato eri, quasi nudo, magro magro sulla tua croce, con delle ferite dappertutto, il cranio sanguinante sotto le spine e la testa che non stava nemmeno più sul collo. Mi ha dato da pensare. Mi sono sentito rivoltare. Se fossi Dio, io, come te, non mi sarei lasciato ridurre in quel modo.

"Nonna Rosa, sia seria: lei che era lottatrice di catch, lei che è stata una grande campionessa, non si fiderà di quell'essere!"

"Perché, Oscar? Daresti più credito a Dio se vedessi un culturista con i muscoli gonfi, la pelle unta d'olio, i capelli corti e il minislip che ne fa risaltare la virilità?"

"Beh…"

"Rifletti, Oscar. A chi ti senti più vicino? A un Dio che non prova niente o a un Dio che soffre?"

"A quello che soffre, ovviamente. Ma se fossi lui, se fossi Dio, se, come lui, avessi i mezzi, avrei evitato di soffrire."

"Nessuno può evitare di soffrire. Né Dio né tu. Né i tuoi genitori né io."

"Bene. D'accordo. Ma perché soffrire?"

"Per l'appunto. C'è sofferenza e sofferenza. Guarda meglio il suo viso. Osserva. Sembra che soffra?"

"No. È curioso. Non sembra che abbia male."

"Ecco. Bisogna distinguere due pene, Oscar, la sofferenza fisica e la sofferenza morale. La sofferenza fisica la si subisce. La sofferenza morale la si sceglie."

"Non capisco."

"Se ti piantano dei chiodi nei polsi o nei piedi, non puoi far altro che avere male. Subisci. Invece, all'idea di morire, non sei obbligato ad avere male. Non sai che cos'è. Dipende dunque da te."

"Ne conosce, lei, di persone che si rallegrano all'idea di morire?"

"Sì, ne conosco. Mia madre era così. Sul suo letto di morte, sorrideva di avidità, era impaziente, aveva fretta di scoprire che cosa sarebbe successo."

Non potevo più discutere. Dato che m'interessava conoscere il seguito, ho lasciato passare un po' di tempo riflettendo su quanto mi diceva.

"Ma la maggior parte delle persone sono senza curiosità. Si aggrappano a ciò che hanno, come il pidocchio nell'orecchio di un calvo. Prendi Plum Pudding, per esempio, la mia rivale irlandese, centocinquanta chili a digiuno e in slip prima della sua Guinness. Mi diceva sempre: "Spiacente, io non morirò, non sono d'accordo, non ho sottoscritto". Si sbagliava. Nessuno le aveva detto che la vita doveva essere eterna, nessuno! Si intestardiva a crederlo, si ribellava, rifiutava l'idea di morire, si infuriava, è caduta in depressione, è dimagrita, si è ritirata dall'attività sportiva, non pesava ormai che trentacinque chili, sembrava una lisca di sogliola, ed è finita in pezzi. Vedi, è morta lo stesso, come tutti, ma l'idea di morire le ha rovinato la vita."

"Era idiota, Plum Pudding, Nonna Rosa."

"Come tanti."

Ho assentito con la testa perché ero abbastanza d'accordo.

"Le persone temono di morire perché hanno paura dell'ignoto. Ma per l'appunto, che cos'è l'ignoto? Ti propongo, Oscar, di non aver paura ma fiducia. Guarda il viso di Dio sulla croce: subisce il dolore fisico, ma non prova dolore morale perché ha fiducia. Perciò i chiodi lo fanno soffrire meno. Si ripete: mi fa male ma non può essere un male. Ecco! È questo il beneficio della fede. Volevo mostrartelo."

"O.K., Nonna Rosa, quando avrò fifa, mi sforzerò di aver fiducia."

Mi ha baciato. In fondo si stava bene in quella chiesa deserta con te, Dio, che avevi un'aria così tranquilla.

Al ritorno ho dormito a lungo. Ho sempre più sonno. Come un desiderio irresistibile di dormire. Svegliandomi, ho detto a Nonna Rosa: "In realtà non ho paura dell'ignoto. È solo che mi secca perdere quello che conosco".

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La nota sul romanzo è tratta ed adattata dal sito della ONLUS “Una mano alla vita” che collabora con le cure palliative e l'hospice “Il Tulipano”, Niguarda, Milano. (www.unamanoallavita.it/letti-per-voi-oscar-e-la-dama-rosa/)